Assegnazione della casa familiare

Assegnazione della casa familiare

Ospitiamo oggi un articolo sull’assegnazione della casa coniugale.

Sovente ci si rivolge al nostro Studio per svolgere delle indagini su chi occupa realmente la casa coniugale. Nella maggior parte dei casi, capita che il nuovo compagno o la nuova compagna vadano a convivere nella ex “casa coniugale”.

Fondamentale in questo caso l’intervento dell’investigatore privato che dimostra il venir meno delle condizioni di assegnazione della casa coniugale da parte del Giudice.

Il provvedimento di assegnazione della casa familiare viene meno anche quando il figlio diventa economicamente autonomo, se sono più di uno, quando l’ultimo dei figli diventa indipendente. Potrebbe verificarsi che i figli, volutamente, siano privi di posizione contributiva. Anche in questo caso sarà importante l’intervento dell’investigatore privato che dimostri la reale attività lavorativa dei figli.

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE

a cura dell’Avv. Giampaolo Pisano del Foro di Cagliari, Presidente dell’Associazione Mamme Papà Separati Sardegna

Non è raro che un genitore che si appresta a separarsi dal coniuge, fra le varie domande che mi pone, mi chieda anche di sapere a chi verrà assegnata la casa coniugale dopo la separazione.
La domanda è legittima, soprattutto se si pensa che generalmente i coniugi investono in quel bene gran parte dei risparmi di una vita. La domanda è ancora più comprensibile allorquando l’immobile è di proprietà esclusiva proprio del cliente che ha posto la domanda, il quale rischia di perdere la disponibilità della casa anche per vari decenni.

Per rispondere al quesito è bene partire dal dettato normativo. L’articolo 337sexies del CC esordisce precisando che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”. Quindi, al fine dell’assegnazione della casa coniugale, il primo e principale elemento di valutazione è l’interesse dei figli. Ogni altro elemento di valutazione dovrà essere valutato dal giudice secondariamente rispetto all’interesse dei figli.

Per avere diritto all’assegnazione della casa coniugale è quindi indispensabile che il soggetto che chiede l’assegnazione abbia anche ottenuto l’affido e la collocazione dei figli non economicamente indipendenti. La Corte di Cassazione ha precisato che l’assegnazione della casa “è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e dell’interesse di questa a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta, onde, finanche nell’ipotesi in cui sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento dei figli minori o della convivenza con i figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti” (Ord. 24254/18).

L’orientamento prevalente ritiene che non sia possibile assegnare la casa coniugale al genitore che non sia anche affidatario o collocatario dei figli.
Pertanto, è chiaro che lo scopo della norma è quello di tutelare e proteggere i figli che si trovano nella fase di separazione dei genitori, in quanto ritenuti i soggetti più deboli della famiglia.
Una volta chiarito l’istituto dell’assegnazione della casa coniugale, il genitore non assegnatario, ma proprietario o comproprietario dell’immobile, immancabilmente chiede “ma quando potrò rientrare in casa?”.

Il provvedimento di assegnazione perde efficacia quando il genitore collocatario cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o inizi una nuova convivenza more uxorio, ovvero, contragga nuovo matrimonio.
L’ulteriore caso in cui può chiedersi la revoca dell’assegnazione della casa coniugale è quello più frequente in cui cessa definitivamente la convivenza della prole col genitore assegnatario. Questo è il classico caso in cui i figli, oramai cresciuti, escano dal nucleo familiare d’origine per formarne uno nuovo.

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L’affido condiviso, cos’è e come funziona

L’affido condiviso, cos’è e come funziona

AFFIDO CONDIVISO, COS’E’ E COME FUNZIONA

a cura dell’Avv. Giampaolo Pisano del Foro di Cagliari, Presidente dell’Associazione Mamme Papà Separati Sardegna

Mi è capitato spesso di ricevere in studio dei genitori separati che chiedevano di avere l’affido condiviso dei figli minori, così da tenere i figli pari tempo con l’altro genitore e,  conseguentemente, non versare alcun assegno di mantenimento.
Detta domanda è errata in quanto frutto di una cattiva interpretazione della legge sull’affido dei figli.

È quindi opportuno chiarire cos’è e come funziona l’affido dei minori nel nostro ordinamento.

Premesso che l’istituto dell’affido non riguarda i figli maggiorenni, è importante ricordare che è preciso dovere dei genitori prendere le decisioni sull’educazione, sulle cure, sulla scuola, indirizzo religioso, e su tutte le questioni rilevanti della vita dei minori.

Quindi, l’affido condiviso è la capacità di assumere in condivisione fra i genitori tutte le decisioni inerenti la crescita e lo sviluppo del figlio minore fino a quando quest’ultimo non avrà computo 18 anni.
Fino a quell’età entrambi i genitori sono chiamati a decidere congiuntamente, cioè insieme, tutte le decisioni inerenti la vita del minore, quali, l’indirizzo scolastico, quello religioso, ecc.

A nessun genitore è dato il diritto di assumere decisioni importanti senza il consenso dell’altro genitore.
È chiaro che il disposto normativo presuppone che vi sia un corretto e rispettoso dialogo fra i genitori separati. Per assumere le importanti decisioni sulla vita dei figli, deve esserci un confronto costruttivo fra genitori.
Purtroppo, questo non sempre accade. Spesso i genitori che si separano sono animati da sentimenti negativi, desideri di vendetta o riscatto e, soprattutto, non dialogano fra loro. In questo contesto è difficile, se non impossibile, condividere le scelte educative dei figli. Anzi, non di rado ho visto delle decisioni assunte da un genitore senza alcun rispetto per i figli ma prese unicamente per fare un dispetto all’altro genitore. Non c’è bisogno di aggiungere che detta condotta è censurabile sotto tutti i profili.
Nella crescita ed educazione di un minore è fondamentale anche la coabitazione, perché l’interno delle mura domestiche rappresenta il primo e più importante esempio educativo per un figlio. Quest’ultimo assorbe e riporta l’esempio ricevuto in casa. Quindi, nel caso di famiglia unita, il minore seguirà il duplice esempio del padre e della madre, mentre nel caso di genitori separati e non collaborativi il piccolo avrà il prevalente esempio del solo genitore convivente.
A tal proposito, deve evidenziarsi che benchè la riforma normativa abbia introdotto la regola generale dell’affido condiviso, i casi di affido esclusivo sono rari, la legge nulla dice sul luogo in cui il minore dovrà vivere materialmente.
Preso atto di questa lacuna, la giurisprudenza ha creato la figura del genitore collocatario, ossia del genitore presso il quale il minore dovrà risiedere in modo prevalente e presso il quale avrà la residenza anagrafica.
Il giudice, quindi, è chiamato a decidere presso quale genitore il minore dovrà soggiornare in via prevalente.
Pertanto, riportandoci alla premessa iniziale, bisogna ricordare che affidamento condiviso non significa necessariamente tenere i figli al 50% per ciascun genitore. Anzi, nella maggior parte dei casi ciò non avviene, il minore sarà collocato, ossia risiederà, in via permanente presso un genitore, lasciando all’altro il diritto di fargli visita secondo le regole che verranno disposte dal giudice.
Si è accennato al fatto che solo di rado il giudice dispone l’affido esclusivo in quanto vige la regola generale dell’affido condiviso. Tuttavia, se il giudice ravvede determinate condizioni lesive per l’interesse del minore, egli potrà affidare i figli minori ad un solo genitore.

Ad esempio, se un genitore vive lontano dal figlio e lo vede raramente, se ha trascurato i propri doveri educativi e di mantenimento verso il figlio, se si è disinteressato del figlio, omettendo di frequentarlo, se si è reso responsabile di condizionamenti negativi sul figlio nei confronti dell’altro genitore, se impedisce all’altro di svolgere i propri compiti genitoriali, se impedisce il rapporto tra il figlio e l’altro genitore.
Ovviamente in questo caso, il giudice deve motivare le ragioni in base alle quali ha disposto l’affidamento esclusivo.

Detta decisione comporta che il genitore escluso dall’affido non avrà alcun potere decisorio sulle scelte del figlio che verranno assunte dal solo genitore affidatario.
Tuttavia, il genitore escluso dall’affido è comunque obbligato all’osservanza dei doveri verso il figlio.
Egli dovrà ugualmente provvedere al mantenimento dei figli e dovrà vigilare sulle scelte dell’altro genitore.
Il genitore che intendesse chiedere l’affido esclusivo dovrà rivolgersi al giudice mediante l’assistenza di un avvocato competente in materia.
Il compito di quest’ultimo è fondamentale in quanto, l’avvocato deve valutare se sussistono le condizioni per la domanda e sconsigliare detta richiesta se questa è contraria all’interesse del minore.

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La prova sull’addebito della separazione

La prova sull’addebito della separazione

LA PROVA SULL’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE

a cura dell’Avv. Giampaolo Pisano del Foro di Cagliari, Presidente dell’Associazione Mamme Papà Separati Sardegna

Sempre più spesso si rivolgono al mio studio dei coniugi in procinto di chiedere la separazione dal proprio coniuge e, puntualmente, mi chiedono che la stessa venga addebitata all’altro coniuge.

Poichè anche alcuni clienti in fase di divorzio formulano la medesima istanza, è bene chiarire che è possibile chiedere l’addebito solamente nel procedimento di separazione e non anche nella fase di divorzio.

Ciò chiarito, è importante vedere quali sono i presupposti istruttori affinchè venga addebitata la separazione ad un coniuge.
Per una corretta disamina del problema relativo ai mezzi istruttori del processo, è bene prendere le mosse dall’art. 2697 c.c. in virtù del quale chiunque voglia far valere un diritto in giudizio deve dare la prova dei fatti che costituiscono il fondamento dei propri assunti.

Il conseguente e necessario corollario processuale è l’art. 115 c.p.c., in base al quale, il Giudice deve fondare la propria decisione sulle prove proposte dalle parti processuali e/o acquisite anche d’ufficio dal Giudice, i fatti non contestati e le nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza.

L’altra norma di riferimento è data dal successivo art. 116 c.p.c. che demanda al Giudice la valutazione delle prove, da farsi secondo il prudente apprezzamento del magistrato, salvo che la legge disponga altrimenti.
Il potere discrezionale del giudice è limitato dalla norma sulle c.d. prove legali, che riducono appunto la discrezionalità del Giudice, tra cui si annoverano l’atto pubblico e la scrittura privata autenticata, riconosciuta e verificata, il telegramma, la confessione e il giuramento, nonchè il documento informatico siglato con firma elettronica qualificata o digitale.

Allo stesso modo, anche le presunzioni semplici previste dall’art. 2729 c.c. rappresentano un limite al libero convincimento o alla discrezioalità del Giudice.
Riportando l’attenzione sull’addebito della separazione, sarà il giudice che, valutate le prove offerte dalle parti processuali, e qualora ricorrano le circostanze, potrà decidere a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in conseguenza del comportamento contrario ai doveri derivanti dal matrimonio.
Il primo presupposto affinchè il giudice si pronunci sull’addebito è che il coniuge ne faccia richiesta e che riesca a dimostrare nel processo che la condotta contraria ai doveri coniugali dell’altro coniuge sia stata la causa determinante della fine del rapporto coniugale.
Sostanzialmente, il Giudice dovrà valutare se il comportamento del presunto coniuge colpevole sia la causa determinante della frattura del rapporto o se invece abbia soltanto aggravato o reso definitiva la crisi coniugale già in essere.

Sul coniuge che richiede la declaratoria di addebito della separazione grava il dovere non soltanto di provare i comportamenti dell’altro coniuge posti in essere in violazione dei doveri coniugali, ma anche il dovere di provare il nesso di causalità fra detti comportamenti e l’intollerabilità della convivenza.
È di tutta evidenza che nel caso di separazione generalmente gli unici testimoni delle violazioni ai doveri coniugali sono gli stessi coniugi o, al massimo i prossimi parenti o amici degli stessi. Conseguentemente, le loro dichiarazioni potranno essere parziali o de relato, con le evidenti conseguente sulla loro efficacia probatoria. Il Giudice quindi dovrà valutare anche sulla base di ulteriori elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria.

Per queste ragioni, in ambito istruttorio parte della giurisprudenza accoglie di buon grado le prove atipiche e le prove indiziarie e indirette, tenuto conto appunto che spesso i fatti oggetto di causa avvengono per lo più in ambito domestico o nella dimensione privata dei soggetti coinvolti.

Ad esempio, in tema di violazione dell’obbligo di fedeltà, oltre alla prova testimoniale, una delle prove utilizzata da colui che richieda l’addebito è la relazione investigativa con cui si documenta il tradimento.

A tal proposito è opportuno ricordare che la relazione dell’investigatore è pur sempre uno scritto proveniente da un terzo, l’investigatore, pertanto costituisce una prova atipica e potrà essere validamente utilizzate in sede decisionale dal Giudice solo se l’investigatore sarà stato sentito nel corso del giudizio in qualità di teste e riferisca fatti precisi e circostanziati appresi mediante diretta percezione.

Diversamente, il Giudice potrebbe ritenere che la documentazione investigativa sia priva di valida efficacia probatoria e pertanto irrilevante.
Nei processi di cui trattasi, non di rado le parti producono anche registrazioni audiovisive, fotografiche e fonografiche.
Questi documenti fanno piena prova ai sensi dell’art. 2712 c.c. salvo non siano disconosciute da colui contro il quale sono prodotte.

Un’altra problematica sempre più frequente nelle aule giudiziarie è quella relativa alla valutazione ed ammissibilità dei mezzi di prova provenienti dai social.
Sul punto si ritiene che le informazioni e le fotografie pubblicate sul proprio profilo non siano segrete. Al contrario, restano tutelate dal segreto quelle informazioni contenute nei messaggi scambiati utilizzando il servizio di messaggistica (o di chat) fornito dal social network.

Bisogna infatti fare un distinguo. Queste ultime, possono assimilarsi alla corrispondenza privata, e come tali sono tutelate sotto il profilo della loro divulgazione. Al contrario, quelle pubblicate sul proprio profilo personale, in quanto già destinate ad essere conosciute da soggetti terzi, anche se rientranti nell’ambito della cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non hanno la stessa protezione perché considerate informazioni conoscibili da terzi.
In buona sostanza, chi pubblica informazioni o foto sul proprio profilo personale accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d. “amicizie”.
Tuttavia, non può negarsi che talvolta l’acquisizione dei dati personali dell’altro coniuge avviene mediante la commissione di uno o più reati. In questo caso dovrà valutarsi l’ammissibilità di quel mezzo di prova.

Purtroppo, a tal proposito la giurisprudenza non è univoca in quanto, al contrario del codice penale, il codice civile non disciplina detta materia.
Uno dei casi maggiormente diffuso è l’interferenza illecita nella vita privata volto a registrare immagini o suoni indebitamente nei luoghi di privata dimora.
A tal riguardo si ricorda che è sempre consentita la registrazione di una conversazione (sia essa telefonica o ambientale) da parte di uno dei partecipanti alla conversazione stessa. Al contrario, se la conversazione telefonica avviene tra soggetti terzi, e venga “intercettata” abusivamente, si configurano rispettivamente i reati di cognizione illecita di comunicazioni telefoniche e di installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni telefoniche, di cui agli  artt. 617  e  617-bis c.p.

Altra condotta penalmente rilevante, anch’essa spesso utilizzata nell’ambito dei procedimenti di separazione è quella dell’accesso abusivo ad un sistema informatico protetto da misure di sicurezza.

Quelle appena elencate sono le ipotesi di reato maggiormente rilevate nell’ambito del contenzioso tra coniugi.
Infatti, tutta la corrispondenza, sia cartacea che telematica, sono spesso nella disponibilità dell’altro coniuge e, in pendenza di separazione, può rappresentare un utile mezzo di prova, sia ai fini della domanda di addebito sia ai fini delle domande di natura economica.

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