Uno dei principali motivi per cui un matrimonio può naufragare sembrerebbe essere l’infedeltà coniugale.
Anche se, come più volte chiarito dalla stessa Corte di Cassazione, spesso è proprio la crisi di coppia a determinare una successiva infedeltà.
Talvolta sono le incomprensioni o le incompatibilità di carattere che possono spingere a cercare fuori dalle mura domestiche un rapporto sentimentale appagante. Ma a volte il tradimento può essere scatenato semplicemente dalla stanchezza e dalla noia che subentrano all’interno di un rapporto di coppia che non si è stati in grado di mantenere vivo e interessante.
In linea teorica il coniuge tradito, in sede di separazione, può chiedere l’addebito della separazione a chi ha violato l’obbligo di fedeltà. Ma la possibilità di ottenere una pronuncia di addebito è tutt’altro che scontata.
Perché il giudice possa addebitare la separazione a carico del coniuge infedele è necessario dimostrare che il tradimento sia stato la causa della crisi matrimoniale e non il suo effetto. Se, pertanto, il tradimento interviene in un momento in cui il matrimonio è già in crisi non c’è motivo per addebitare la separazione al coniuge fedifrago.
La vicenda giudiziaria presa in esame dalla Corte vede come protagonista una coppia con quattro figli di cui due ancora minorenni.
In primo grado il Tribunale di Nuoro aveva respinto le reciproche richieste di addebito della separazione.
Il giudice aveva anche disposto l’affidamento delle minori alla madre assegnando alla donna la casa coniugale nonostante quest’ultima vivesse già da tempo altrove con un altro uomo.
La vicenda era piuttosto complessa perché oltretutto la casa coniugale era stata data in locazione dalla donna ad una società.
Il giudice aveva disposto a carico del marito l’obbligo di versare un mantenimento di € 5000 mensili per la moglie ed € 700 mensili per le due figlie minorenni.
L’ex marito proponeva appello chiedendo che venisse dichiarato l’addebito della separazione alla moglie con conseguente eliminazione dell’assegno di mantenimento.
La Corte d’Appello di Cagliari, in parziale accoglimento del gravame, addebitava la separazione alla donna, revocava l’assegnazione alla stessa dell’alloggio coniugale e l’assegno per il suo mantenimento. Disponeva anche l’affido congiunto ai genitori delle due figlie minorenni, con collocazione delle medesime presso la madre.
A questo punto la donna ricorreva in Cassazione facendo rilevare che erroneamente la Corte territoriale aveva fato risalire la crisi coniugale all’anno in cui la donna aveva intrapreso una relazione extraconiugale mentre nella realtà dei fatti la crisi coniugale era già da tempo in atto ed era stata determinata dal comportamento del marito che aveva reso la convivenza insopportabile a lei e ai figli a causa di continue vessazione, intimidazioni, liti e comportamenti prepotenti e prevaricatori manifestatisi fin dai primi anni del matrimonio.
Nell’atto difensivo si faceva rilevare che questi aspetti erano stati evidenziati dal Tribunale ed avevano trovato conferma in copiosi riscontri documentali.
In merito alle disposizioni testimoniali raccolte durante il procedimento, la donna faceva notare come le stesse avevano dimostrato che il rapporto matrimoniale si era già incrinato da tempo, molto prima del tradimento.
Insomma, secondo la ricorrente i giudici della Corte d’Appello avevano ricostruito la vicenda giudiziaria in maniera sbrigativa e superficiale, dando più una valutazione di tipo moralista e non aveva operata una preventiva valutazione comparativa delle condotte e dei rispettivi comportamenti tenuti dai coniugi.
Con riferimento all’affidamento delle figlie minori si censurava la statuita riforma del regime di affidamento delle figlie, ossia l’attuata opzione per il loro affidamento congiunto in luogo di quello esclusivo a lei stabilito dal Tribunale.
La donna contestava anche la revoca dell’assegnazione della casa coniugale.
La Suprema Corte con sentenza n. 7410 del 28 marzo 2014 faceva notare che in realtà la corte territoriale aveva correttamente valutato le risultanze probatorie da cui era emerso che nei primi mesi dell’anno 2003 (ossia quando la donna aveva intrapreso la relazione extraconiugale) non era in atto una crisi coniugale, né si erano manifestati dissapori. Di conseguenza la relazione extraconiugale si era inserita in un momento di normale vita coniugale.
Entrambi i coniugi avevano ammesse che tra la fine dell’anno 2002 e l’inizio dell’anno 2003 avevano concordato una interruzione di gravidanza e non vi era prova che tale decisione fosse stata una conseguenza di un contrasto tra coniugi, mentre la gravidanza stessa denunziava la costanza di normali rapporti di coppia.
Oltretutto una teste (la cameriera al servizio della famiglia) aveva riferito di aver ricevuto l’incarico di controllare con una telecamera l’eventuale ritorno a casa del marito e di avvisare la Signora che nel frattempo si trovava assieme al compagno nella camera da letto coniugale.
Per quanto riguarda la casa coniugale costituita da una villa con piscina sita in un prestigioso complesso edilizio di Roma, la revoca dell’assegnazione era stata motivata dal fatto che secondo quanto emerso nel corso del giudizio la donna viveva in un altro lussuoso immobile in compagnie del nuovo compagno ed era rientrata per breve tempo in possesso dell’immobile ma non lo aveva occupato con i figli, per cui era evidente che non intendesse destinare il bene ad abitazione familiare, ma unicamente da ricavare da esso un reddito.
Fonte:
Cassazione: Perché ci sia addebito per infedeltà del coniuge va stabilito quando il tradimento si inserisce nel mènage matrimoniale.
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