Binge Drinking e droga

Binge Drinking e droga

“un FLOP scolastico, una lite CON I GENITORI, MA ANCHE PER NOIA o FORSE PER CURIOSITA’ molti giovani si rifugiano nell’utilizzo di bevande alcoliche e nelle droghe in generale.

Binge drinking e droga, un fenomeno in continua ascesa negli adolescenti

Moltissimi genitori, chiamano la nostra Agenzia Investigativa per esporci il problema dei loro figli che nella fattispecie, riguarda prevalentemente l’utilizzo di alcol e cannabis.

Prima di svolgere qualsiasi attività investigativa, è importante verificare questa problematica con Voi genitori e studiare insieme eventuali programmi di intervento con un progetto di indagine che sia volto a prevenire e quindi ad aiutare gli adolescenti che manifestano questi disagi.

Il primo consiglio che diamo ai genitori è quello di fissare un appuntamento presso il nostro Studio e cercare di capire e studiare quali sono e quali sono stati i problemi legati all’abuso di droga e alcol da parte dei figli minori e solo successivamente, porre in essere tutte le attività investigative per cercare di arginare e risolvere definitivamente il problema.

Attenzione al “binge drinking”. Quali possono essere i danni del “binge drinking” e come  prevenirli

Tutte le sostanze psicotrope agendo nella fase della crescita influiscono senza alcun dubbio sul funzionamento cerebrale e gli effetti sono più gravi e importanti quanto più precoce è l’età in cui si incomincia ad abusare di queste sostanze.

Oggi è di moda il fenomeno del “binge drinking”, espressione di una moda giovanile, purtroppo, particolarmente diffusa tra i ragazzi.

“Binge drinking” è un’espressione che significa “abbuffata di alcolici” o “bere fino a ubriacarsi” ed indica l’assunzione di 5 o più bevande alcoliche in un intervallo di tempo molto ristretto (indicativamente 2-3 ore).

Il fenomeno si traduce in un’immediata ubriacatura, con perdita del controllo. 

Questo modello di consumo di alcolici può associarsi al compimento di reati, comportamenti violenti e talvolta, purtroppo, tentativi di suicidio.

Oggi il fenomeno è in continua ascesa soprattutto nel periodo estivo.

Come prevenire il problema del “binge drinking”

Il periodo adolescenziale, può essere estremamente difficile, specialmente se associato a problemi emotivi, alla pressione esercitata dai pari, come il fenomeno del bullismo, ma soprattutto, alla facile  disponibilità  di droghe e alcol, aspetti, questi, che rappresentano sempre una preoccupazione per i genitori soprattutto se si considerano i seri rischi per la salute.

Un semplice controllo investigativo di qualche giorno può aiutarvi a porre in essere le strategie
educative per la salvaguardia di vostro figlio.

Contattate la nostra Agenzia Investigativa per una consulenza e sapremo darvi le giuste indicazioni per aiutarvi a risolvere il problema. 

STUDIO MASILE INVESTIGAZIONI SRLS

Via San Lucifero, 59 - 09125 Cagliari  - Tel. 070.270010 -   P. IVA 03792660924
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Gli elementi di prova a carico del coniuge che tradisce

Gli elementi di prova a carico del coniuge che tradisce

“Non tutti sanno che con l’addebito della separazione si può ottenere l’esonero dal pagamento dell’assegno di mantenimento ma solo quando viene dimostrato che l’infedeltà coniugale è stata il motivo determinante che ha compromesso il matrimonio”

Gli elementi di prova: come si dimostra l’infedeltà coniugale nella causa di separazione ?

Sugli elementi di prova relativi al tradimento nel matrimonio si è scritto tantissimo, purtroppo, non è mai stata data la giusta importanza al ruolo fondamentale che ricopre l’investigatore privato e talvolta, banalizzando anche l’argomento.

Il tradimento può essere dimostrato con diversi strumenti che se introdotti nel corso del giudizio e, quindi dimostrando L’infedeltà che comporta poi l’addebito della separazione, si può ottenere l’esonero dal versamento dell’assegno di mantenimento ma solo quando viene dimostrato che l’infedeltà sia stata il motivo determinante che ha compromesso il matrimonio.

Nel nostro ordinamento giuridico e quindi nel processo civile è presente un principio rigido che gli studiosi del diritto civile chiamano “tipicità delle prove”.

Gli elementi di prova che possono essere depositati nel corso del giudizio civile sono quelli che il nostro ordinamento ha previsto e non altri.

Le prove documentali

Si potrebbe trattare di una lettera di ammissione del tradimento che si concreta magari in una lettera d’amore che viene reperita dal coniuge nel domicilio coniugale, questa lettera potrebbe essere un elemento di prova documentale.

Per esempio non è una prova documentale una fotocopia o un’email semplice, non certificata, ma la stampa di chat acquisita su un comune social network ha valore probatorio.

Vedi a tal proposito questo nostro articolo

Queste produzioni istruttorie hanno valore di prova se non sono contestate dalla controparte, tuttavia, le contestazioni non possono essere semplici e/o generiche, senza motivare le ragioni, al contrario, bisogna fornire al giudice delle valide giustificazioni per poter supportare la contestazione, ad esempio, la testimonianza costituisce l’elemento di prova necessario per confermare il fatto.

Gli elementi di prova: le fotografie e la relazione sulle indagini svolte dall’investigatore privato

In una recente sentenza il Tribunale di Milano, ha motivato che la foto del detective che ritrae uno dei due coniugi durante una indagine per infedeltà coniugale (in ossequio alla legge sulla privacy ndr), se non viene contestata dalla controparte fa piena prova senza bisogno di altre indagini o prove testimoniali.

A tale proposito si veda il nostro articolo su l’assegno divorzile

In questo articolo si fa un espresso riferimento ad una sentenza del 2020 della Corte d’Appello di Cagliari che richiama appunto la sentenza del Tribunale di Milano.

Corte d’Appello di Cagliari:
è stata depositata nell’interesse del reclamante la relazione investigativa redatta dallo Studio di consulenza di Investigazioni Private del dott. Brunello Masile attestante la convivenza stabile tra due coniugi; tale relazione non è mai stata contestata, neppure genericamente, dall’odierna appellante

= PER QUESTI MOTIVI =

La Corte di Appello di Cagliari, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari, rigetta l’appello e condanna l’appellante alle spese di giudizio.

Ai sensi dell’articolo 115 del codice di procedura civile, la non contestazione specifica costituisce un comportamento rilevante, che vincola il giudice a ritenere quell’elemento di fatto acquisito e provato senza potere più effettuare altri controlli probatori.

Gli elementi di prova: la relazione dell’Investigatore Privato

Se il rapporto investigativo diventa oggetto di conferma attraverso escussione testimoniale dell’investigatore privato, costituisce la prova vera della dichiarazione orale del testimone. Il teste può deporre esclusivamente su fatti avvenuti in sua presenza o dei quali abbia conoscenza diretta.

Attenzione ai falsi testimoni o alle testimonianze inutili

Un consiglio che diamo ai nostri clienti in sede di conferimento dell’incarico professionale è quello di non inventarsi testimoni!

Ad esempio, non si può dire di essere venuto a conoscenza del tradimento perché glielo ha confidato un amico della parte in giudizio, attraverso la cosiddetta testimonianza indiretta oppure, ancora peggio il testimone dice di avere saputo del tradimento perché gli è stato riferito a loro volta da altri soggetti. Questa è una circostanza che non viene presa in alcuna considerazione.

Contattate la nostra Agenzia Investigativa per una consulenza e sapremo darvi le giuste indicazioni per acquisire tutti gli elementi di prova necessari. 

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I maltrattamenti in famiglia

I maltrattamenti in famiglia

I maltrattamenti in famiglia e la violenza sulle donne sono un fenomeno in continua crescita.

Perché rivolgersi alla nostra Agenzia Investigativa.

Lo spunto per questo articolo ci è stato dato dal racconto di una cara amica, attenta lettrice delle nostre news e che a suo tempo, aveva consigliato ad una sua conoscente di rivolgersi alla nostra Agenzia Investigativa per un progetto di indagine.

Ci è stato fatto notare che la frequenza delle notizie sui casi di violenza in famiglia e nei confronti delle donne, sta aumentando di giorno in giorno, pertanto, ci è stato chiesto di affrontare l’Argomento in uno dei nostri articoli.

I maltrattamenti in famiglia sono un reato, è disciplinato dall’articolo 572 del codice penale, ed è configurabile anche al di fuori della famiglia legittima e quindi anche in un rapporto di stabile convivenza e senza che la convivenza abbia una certa durata.

Esso si configura “ogni qual volta un soggetto maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte.

Cosa si intende per persone di famiglia?

Si considerano tali non solo il coniuge, i  consanguinei, gli affini, gli adottati e gli adottanti ma anche il convivente e tutti coloro che, in qualche modo, sono legati da un rapporto di parentela e ai domestici / collaboratori conviventi.

Cosa si intende per maltrattamenti?

E’ definito maltrattante qualsiasi insieme di atti vessatori, oppressivi e prevaricatori ripetuti nel tempo, lesivi dell’integrità fisica e morale della persona offesa e che, a causa di questa fattispecie, si trovi in una condizione di sofferenza.

Poniamo il caso di uno dei due coniugi inizi una relazione al di fuori del matrimonio o della convivenza ed anziché chiarire subito con il proprio partner, ponga in essere una serie di atti lesivi dell’integrità fisica e morale per costringere in qualche modo l’attuale partner a lasciare il comune domicilio oppure ad interrompere il matrimonio o la relazione.

Cosa consigliamo a chi, leggendo questo nostro articolo, si rende conto di essere vittima di  maltrattamenti ?

Per prima cosa non si deve avere timore di denunciare gli episodi alle Forze dell’Ordine, anche al fine di tutelare, eventuali figli minori.

Se lo ritenete opportuno, contattate la nostra Agenzia Investigativa, per svolgere nel caso di specie, le necessarie investigazioni difensive e, coinvolgendo, all’occorrenza, anche altri specialisti.

Non esitate a contattarci se siete vittima di maltrattamenti in famiglia, vi garantiremo un’assistenza totale per risolvere definitivamente il vostro problema.

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La relazione tossica

La relazione tossica

Come capire se una relazione è tossica?
Perché rivolgersi ad un investigatore privato?

Talvolta ci si rivolge alla nostra Agenzia Investigativa perché uno dei due partner ritiene, dal comportamento dell’altro, che vi possa essere una relazione clandestina sottostante.
In alcuni casi può non essere così; probabilmente sei vittima di una relazione tossica e non sai di esserlo.

Cosa vuol dire relazione tossica?
qualsiasi relazione tra persone che non si sostengono a vicenda, dove c’è conflitto e uno cerca di minare l’altro, dove c’è competizione, dove c’è mancanza di rispetto e di coesione”.
Questa è una relazione tossica!

Quali sono i segnali di una relazione tossica?

Il primo è indubbiamente la violenza fisica.

Botte e schiaffi, sono comportamenti  inammissibili. Scenate di gelosia ingiustificate che sfociano in episodi a dir poco allucinanti. 
Attenzione quindi! Nessun tipo di amore ammette comportamenti violenti.

Talvolta alcuni scambiano la violenza per passione ma non è così. Quando si verificano tali comportamenti è bene uscire il prima possibile dalla relazione, cercando aiuto.

Violenza verbale e manipolazioni

Altro segnale è la violenza verbale. La violenza verbale, in genere, si manifesta con insulti e minacce, solitamente, è accompagnata dalla manipolazione. Più esile della manipolazione fisica ma ugualmente dolorosissima.

Come si manifesta la manipolazione verbale?

Si manifesta sotto le spoglie della svalutazione del partner, sarcasmo ingiustificato offese, talvolta anche banali, ma sempre con l’intento di “bullizzare” il proprio coniuge o il compagno/a.

In genere il manipolatore sceglie un partner che cercherà di sottomettere scegliendo la zona più vulnerabile da attaccare, per poi aprire il varco alla manipolazione affettiva.

Attenzione! Nelle nostre indagini afferenti la sfera familiare abbiamo potuto verificare che questa fattispecie si verifica in genere all’esordio di una relazione extraconiugale ed è strettamente collegata alla litigiosità nel rapporto di coppia.

Il dialogo sano sfocia poi nella conflittualità, quando si deve far in modo che sia uno dei due partner a provocare il litigio ed a scegliere la via della separazione.
Non ci si ascolta, l’unico scopo di ogni  discussione diventa sempre quello di “smontare” l’altro. Non c’è interesse a trovare la soluzione al problema dell’altro e viceversa ma l’unico intento di uno dei due e solo quello di ferire il proprio parter.
Questo genere di problematiche sono state analizzate dalla nostra Agenzia Investigativa specializzata nelle indagini familiari da oltre 50 anni.

Attenzione poi ai repentini cambiamenti di ruolo: ad una tratto il partner diventa vittima, persecutore ma anche il “salvatore” delle situazioni più difficili.

Perché rivolgersi alla nostra Agenzia Investigativa ?

Se vi accorgete di essere finiti nel circolo vizioso della relazione tossica, non esitate a chiederci aiuto. Se la situazione è grave, se cioè il vostro partner vi maltratta o vi perseguita, non esitate a contattarci.
Uno staff di professionisti vi aiuterà a risolvere definitivamente il problema.

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Mediazione Minorile

Mediazione Minorile

LA VIOLENZA NEL MONDO GIOVANILE E TECNICHE DI MEDIAZIONE

a cura del Prof. Avv. Bruno Troisi ordinario di diritto civile nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cagliari. Direttore della Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali

Come da molti è avvertito, da alcuni anni la violenza giovanile rappresenta un fenomeno estremamente preoccupante, tanto da essere al centro di dibattiti, di studi e di progetti istituzionali.

Certo, è una costante della storia l’atteggiamento critico delle vecchie generazioni nei confronti delle nuove, sempre caratterizzate da inquietudini e ribellione, da insofferenza e trasgressione. Ma le cronache degli ultimi anni sono ricche di episodi di particolare gravità che testimoniano un accresciuto disagio giovanile. Al riguardo, occorre, peraltro, non sottovalutare il fenomeno di amplificazione svolto dai mass media, posto che quando un episodio di violenza raggiunge la cronaca giornalistica è come se passasse sotto una lente d’ingrandimento che lo trasforma in un preoccupante segnale di degrado sociale.  

Dico questo, non certo per sottovalutare il fenomeno della violenza giovanile, ma per evitare che essa diventi un fuorviante ancorché rassicurante luogo comune, per mezzo del quale la violenza, in quanto generazionale, viene relegata in un mondo a noi estraneo

sì che il fenomeno tende ad essere generalizzato ed attribuito alla condizione stessa di adolescente, in qualità di imputato collettivo, a scapito di una lucida e obiettiva analisi – oltre che dei problemi individuali dei giovani – della realtà sociale, in vista della previsione di concrete politiche di intervento.

Ma cosa s’intende per violenza, e cosa s’intende, in particolare, per “violenza giovanile”?

E’ bene precisare che una definizione univoca di violenza appare assai difficile da elaborare, essendo molteplici e differenti le sue manifestazioni, a partire dagli autori, dalle cause, dai meccanismi che ne sono alla base, nonché rispetto alle circostanze, alle modalità e all’ambito di esercizio di essa, alle vittime, alle conseguenze, al grado di riprovazione sociale.

Secondo l’autorevole definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per violenza si intende “l’uso intenzionale della forza fisica o del potere, minacciato o reale, contro se stessi, altre persone o contro un gruppo o una comunità, da cui conseguono – o da cui hanno un’alta probabilità di conseguire- lesioni, morte, danni psicologici,  compromissioni nello sviluppo o deprivazioni”.
Esistono, dunque, diverse tipologie e  manifestazioni del fenomeno “violenza”, difficilmente riconducibili ad unità e difficilmente classificabili in modo esauriente (violenza auto inflitta e violenza verso altri; violenza emotiva e violenza predatoria; violenza individuale e violenza di gruppo; violenza virtuale e violenza reale, e così via).
Così come non esiste una definizione unitaria che sintetizzi l’identità del “ragazzo violento” come paradigma astratto.

E’, piuttosto, individuabile una pluralità di tipologie di violenza giovanile, a partire da quelle rappresentate dai ragazzi che abitano in territori ad alta densità criminale, e che spesso sono indotti ad assumere comportamenti violenti come proprio stile di vita (qui è l’ambiente a possedere potenzialità criminogene); a quelle tipologie connesse a fenomeni imitativi di gruppo. Qui ci si imbatte spesso in ragazzi provenienti da contesti sociali non devianti, ma che hanno trovato modo di esercitare nel gruppo una violenza impensabile al di fuori di esso: dalle aggressioni agli stupri al teppismo per noia (si pensi ai lanci di sassi dai cavalcavia, considerati dai loro autori alla stregua di un videogioco. Qui, violenza virtuale e violenza reale vengono a confondersi,  per una sorta di incapacità di distinguere l’una dall’altra), fino a quelle definite di “devianza leggera” (angherie in casa o fuori casa – ad esempio, a scuola – piccoli furti, ecc.), che hanno sempre caratterizzato la preadolescenza di molti ragazzi, mantenendo caratteristiche occasionali ed esprimendo una trasgressione fisiologica alle norme sociali, ma che oggi si vanno sempre più diffondendo e aggravando, a riprova dell’accresciuto disagio giovanile; fino a quelle tipologie caratterizzate da disturbi psichiatrici della condotta nelle differenti sfumature possibili, difficilmente inquadrabili in una casella diagnostica unitaria.

Da non ignorare, però, è il rischio, avvertito da autorevoli studiosi, di attivare con tali  definizioni il meccanismo di amplificazione e, perfino, di produzione della devianza. Secondo la c.d. teoria dell’etichettamento (1), infatti, attraverso l’assegnazione – da parte delle istituzioni, dei media e della società in generale – dell’etichetta di violento all’autore di un comportamento antisociale (in termini, ad esempio, di bullo, deviante, piccolo criminale, ecc.), si produrrebbe un effetto-paradosso, si innescherebbe cioè un processo in grado di trasformare l’autore di un singolo comportamento deviante in un delinquente cronico. Influirebbero su questo processo sia la diffidenza, l’ostilità e la riprovazione della collettività, in grado di ristrutturare la percezione di sé da parte del divisato “criminale” (per così dire, “convincendolo”), sia l’emarginazione sociale che le istituzioni e la società fatalmente provocano.
L’etichettamento produrrebbe, quindi, effetti deleteri sia sul piano della rappresentazione sociale e dell’autopercezione sia, conseguentemente, su quello della possibilità di recupero.
Per quanto riguarda, ancora, gli autori degli atti di violenza, anche se le statistiche mostrano che i comportamenti violenti sono molto più frequenti nei maschi che nelle femmine, queste ultime sono tutt’altro che esenti da condotte antisociali.
Negli ultimi tempi, infatti, si nota una tendenza sempre più diffusa di omologazione delle condotte devianti, nel senso che sembrano progressivamente cadute le barriere che differenziavano nettamente l’identità femminile da quella maschile, con l’effetto che le ragazze imitano i ragazzi anche nella manifestazione dell’aggressività (c.d. bullismo in rosa, altro che “angeli del ciclostile” di sessantottina memoria).
Aspetto ancor più delicato e complesso è quello riguardante il piano dei rimedi:
come intervenire, cioè, per gestire costruttivamente il fenomeno “violenza giovanile”.
Non è mancato quel filone di pensiero che pone  l’accento su una maggiore responsabilizzazione dei genitori, ritenuti protagonisti nel processo di formazione e socializzazione dei propri figli (si pensi al progetto di intervento sociale del primo ministro inglese Gordon Brown, il quale introdusse una formula abbastanza inedita, obbligando i genitori ad assumersi la responsabilità del recupero dei loro ragazzi, se vogliono continuare ad usufruire di benefici sociali).
Fondamentale appare, poi, il ruolo della scuola il cui obiettivo prioritario – una volta riconquistata l’antica autorevolezza – dev’essere quello di far prendere coscienza del proprio “io” e della propria emotività ai giovani, sempre più affogati in un mare di insoddisfazione, alla ricerca di un’identità che non trova espressione se non nell’ambito dei modelli offerti dalla moda e dalla pubblicità. Occorre, cioè, ridare ai giovani fiducia in un futuro che a molti appare non più come una promessa ma come una minaccia.
A tal fine, occorre favorire la comunicazione ampliando le capacità di ascolto, occorre favorire il senso di fiducia in se stessi, sviluppare le capacità vitali, essenziali per una sana crescita, e in particolare curare l’educazione sentimentale, arricchire la sfera emotiva e la relazionalità.
Naturalmente, per ridare fiducia ai giovani, è necessario che accanto all’opera della scuola e della famiglia, vi sia anche quella – fondamentale – delle Istituzioni, chiamate ad offrire ai giovani concrete prospettive per il loro avvenire.

Sul piano, poi, dei meccanismi di risposta alla violenza, accanto agli strumenti tradizionali, sicuramente utile può essere considerato quel modello che solo da pochi anni ha iniziato a diffondersi nella nostra cultura, incentrato sulle tecniche di mediazione quale gestione alternativa dei conflitti nascenti dall’assenza di
comunicazione che di solito si accompagna al comportamento violento; secondo i fautori delle tecniche di mediazione, la violenza – se non seguita dalla comunicazione, dal dialogo, dal confronto – avrebbe come conseguenza un insanabile conflitto, dovuto proprio a malintesi, a pre-giudizi, a emozioni negative inespresse (rabbia, delusione, umiliazione, paura) e così via.
Il fondamento di questo approccio educativo è rappresentato dal c.d. processo di accompagnamento, consistente in strategie di guida, di sostegno e apprendimento, e basato sull’esempio di modelli comportamentali diversi dall’uso della violenza, al fine di far “disimparare” ai giovani l’uso della violenza come modalità ordinaria di relazione.
Il presupposto su cui si basa la mediazione è che la vita sociale sia regolata da conflitti di diversa origine e natura e che questi possano risolversi attraverso un terzo soggetto, scelto e legittimato dalle parti, che in modo “neutro” favorisca una soluzione condivisa e alternativa agli interessi della singola parte.

In particolare, la cornice normativa che fa da sfondo alla mediazione penale minorile 2 è il D.P.R.448/88 all’interno del quale è  esplicitamente prevista l’opportunità della riconciliazione fra autore e vittima di reato con l’art.28 (“sospensione del processo e messa alla prova”).

All’interno di questa misura il minore viene inserito in un percorso di responsabilizzazione centrato su alcune attività educative e risocializzative. A seguito dell’analisi di fattibilità è possibile per alcuni casi, che il minore partecipi ad un percorso di riconciliazione con la vittima del reato.
Un’altra esplicita opportunità è data dall’art. 564 c.p.p. in cui, per reati perseguibili a querela, il pubblico ministero, anche prima delle indagini preliminari, può tentare la riconciliazione tra querelante e querelato. Anche all’interno del procedimento che regola l’affidamento in prova ai servizi sociali della giustizia, è previsto che l’autore di reato si adoperi in favore della vittima.
Altre misure del D.P.R. 448/88 vengono utilizzate come possibili ambiti di operatività della mediazione anche se non espressamente prevista. Gli indici normativi sono l’art.9 (“accertamenti di personalità del minore”), in cui la mediazione è utilizzata per valutare la responsabilità del minore e la consapevolezza delle conseguenze della sua azione; l’art.27 (“assoluzione per irrilevanza del fatto”), dove la mediazione viene utilizzata dal giudice per la valutazione del danno prodotto dal minore nei confronti della vittima; l’art.30 (“libertà controllata”) che è una misura alternativa alla detenzione in cui il giudice può prevedere come attività prevalente che il minore svolga un percorso di mediazione, dopo averne valutato la sua disponibilità insieme al gruppo di mediazione.
Entrando nel merito della mediazione penale, possiamo definirla come un’attività il cui obiettivo è quello di ricomporre il conflitto tra vittima ed autore del reato, attraverso un mediatore che in modo diretto o indiretto mette in comunicazione le domande e i vissuti dei due attori in riferimento all’azione-reato e ai suoi effetti sul piano giudiziario e psicologico.

Questa forma di intervento si è diffusa, a partire dagli anni settanta, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in nord Europa, con numerosi programmi che hanno avuto un notevole successo.

I punti fondamentali su cui si basa la mediazione riguardano:

a) il reato inteso come conflitto tra parti;

b) il sistema-autore vittima come punto focale dell’intervento;

c) l’accordo tra le parti come risoluzione del conflitto;

d) la flessibilità di attuazione delle mediazione dentro e fuori il sistema penale.

Per quanto riguarda il punto sub a), il reato è  considerato come il risultato di un conflitto tra le parti di cui una subisce un danno che ha implicazioni simboliche e materiali. Questa impostazione si differenzia da quella dei tradizionali modelli di giustizia come quello c.d. educativo-trattamentale che considera il reato come il risultato di problemi di personalità da cui la società deve proteggersi o come quello c.d. retributivo in cui il reato è visto come una infrazione delle regole penali che produce un danno alla società.

Quanto al punto sub b), l’intervento è centrato sul confronto fra le parti. In questo modo, l’autore del reato può confrontarsi con la vittima rendendosi conto delle conseguenze della sua azione, attivandosi in senso responsabilizzante verso di lei. La vittima può non solo comprendere i motivi del reato ma anche comprendere meglio le proprie strategie personali e di azione, inoltre può essere parte attiva nel chiedere direttamente all’autore del reato cosa questi può fare per lei. L’intervento assume un’ottica “sistemica”, superando l’orientamento centrato sull’autore di reato.

Quanto al punto sub c), l’accordo è il principale obiettivo della mediazione. Esso rappresenta la ricomposizione del conflitto. L’accordo può essere relativo ad un risarcimento economico, alla riparazione delle conseguenze del reato o alla riconciliazione tra vittima ed autore di reato. Il risarcimento economico viene utilizzato per reati lievi, come piccoli furti; la riparazione delle conseguenze del reato, invece, consiste nello svolgimento di un’attività pertinente nei suoi significati simbolici al danno commesso e viene svolta in favore della vittima. La riconciliazione consiste, per quanto riguarda l’autore di reato, nel confronto diretto con le conseguenze del reato, nel riconoscimento della propria responsabilità, in un ruolo più partecipe nel sistema della giustizia. Per quanto riguarda la vittima, l’obiettivo è la rielaborazione del reato, il contenimento della paura di subire altri reati, il recupero di un ruolo attivo nel sistema della giustizia.

Quanto al punto sub d), un aspetto che, segnatamente nei paesi anglosassoni, ha favorito ed incrementato la partecipazione ai programmi di mediazione è il fatto di potere essere svolta in sostituzione del procedimento giudiziario, come forma di depenalizzazione applicata a reati lievi. La mediazione è prevista durante l’esecuzione del programma risocializzativo della giustizia per i minori autori di reato o come alternativa alla misura penale.

Attraverso la mediazione viene ricomposta la comunicazione fra autore di reato e parte lesa, e quest’ultima viene rivalutata nel proprio ruolo potendo partecipare attivamente alla ricomposizione del conflitto, superando l’esigenza retributiva nei confronti di chi ha commesso il reato. La mediazione penale si integra bene con l’ottica risocializzativa della risposta penale che avrebbe in questo modo un suo rafforzamento e un reale compimento rispetto alla logica retributiva e punitiva.
Anche in tale prospettiva la mediazione rappresenta, senza dubbio. una potenziale risorsa per la cultura del cambiamento della giustizia nel nostro paese, anche se queste potenzialità sono difficili da sviluppare a causa del consolidamento dei sistemi tradizionali di tipo retributivo e sanzionatorio. Anche se ci sono delle difficoltà, vale la pena investire nella direzione della mediazione, in termini di sensibilizzazione culturale ed operativa verso chi intende operare nel settore della giustizia, non solo in campo minorile ma anche in quello degli adulti, per favorire questa opportunità innovativa per il sistema della giustizia.

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Controllo sui minori

Controllo sui minori

Tutela e controllo dei minori: sul bullismo

Con il termine bullismo s’intende definire un comportamento aggressivo ripetitivo nei confronti di chi non è in grado di difendersi.
I ruoli del bullismo, sono ben definiti: da una parte c’è il bullo, colui che attua dei comportamenti fisicamente e/o psicologicamente violenti e dall’altra parte la vittima, che è colui che in genere li subisce.

La sofferenza psicologica e l’esclusione sociale sono sperimentate molto frequentemente da bambini che, senza sceglierlo, si ritrovano a vestire il ruolo della vittima subendo ripetute umiliazioni da coloro che invece ricoprono il ruolo di bullo.
In alcuni periodi della vita – come l’adolescenza – i cambiamenti umorali e di comportamento sono all’ordine del giorno. Così come gli scontri e i confronti continui con i propri figli.

È quindi naturale chiedersi se si tratta di un momento passeggero, ovvero, se il vostro figlio è vittima del bullismo, perché non dialoga con la famiglia, è scontroso, si rinchiude spesso nella sua camera.

Nei casi in cui si sospetta che il figlio sia vittima di bullismo, che eserciti bullismo sui compagni, che usi droghe o alcool, è sicuramente consigliato rivolgersi all’investigatore privato, una delle figure professionali più indicata per svolgere con discrezione un controllo sui minori.

Questi fenomeni sono destinati a scomparire con la crescita e quindi con il superamento dell’età adolescenziale o se i figli stanno effettivamente seguendo strade pericolose che potrebbero avere conseguenze per tutto il resto della loro vita.

E’ preferibile un genitore che si preoccupa molto piuttosto che uno che non si preoccupa poco o talvolta per niente

Queste sono le indicazioni per valutare al meglio quando è il caso di rivolgersi ad un investigatore privato per il controllo del proprio figlio.
In questi casi un’indagine per sui minori può essere determinante e confermare le azioni scorrette dei figli. I genitori potranno così prendere adeguamenti provvedimenti.

Il controllo dei figli minorenni è un atto di grande responsabilità genitoriale, lo Studio Masile Investigazioni, si avvale di un eccellente staff di psicologi e avvocati che potranno guidarvi nelle scelte più opportune da operare.

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